“Central Park”

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    Al mio paese c’è un parco pubblico. Finalmente! Direte, voi. Aspettate ad esultare: frenate l’entusiasmo e ascoltate questa piccola storia di paese, anzi, leggetela, prima. Al posto del parco, prima che fosse realizzato, c’era un campo di pallone, anzi un campo di grano che d’estate diventava un campo di pallone, con un palo della luce in mezzo. Adesso il campo è stato spostato alla periferia del paese e il suo posto è stato preso da un parco pubblico. Prima del parco pubblico come spazio pubblico c’era solo una villa comunale al centro del paese, ma pure quella è stata ristrutturata, molte volte. Adesso pare sia stata definitivamente ultimata: l’ultima volta che ci hanno messo mano l’hanno ricoperta di marmo, come la piazza che c’è intorno. E’ un bell’angolo attrezzato ma non è più una villa. Le altissime palme da dattero che il sindaco siciliano aveva fatto piantare nella villa sono morte per il punteruolo rosso. Per fare un bel parco pubblico gli amministratori locali hanno fatto venire a Coreno, apposta, un architetto di fuori, un bravo architetto di fuori. Gli hanno fatto vedere lo spazio, quello ha preso le misure e dopo aver fatto uno schizzetto, visto ed apprezzato, gli hanno conferito ufficialmente l’incarico di progettare il parco. E lui lo ha fatto. Solo che lo ha fatto secondo alcune regole che solo lui aveva in testa. Il parco doveva servire principalmente ai bambini, per giocare e divertirsi; alle mamme per stare comodamente a guardarli e intanto chiacchierare con le amiche; a chi volesse stare semplicemente seduto a leggere un buon libro al fresco di un albero. Semplice, economico e facile da realizzare. Il bravo architetto non ha fatto un parco semplice semplice, di quelli belli, erbosi e freschi e pieni di alberi, di panchine e di vialetti, come stanno in Inghilterra, anche al centro delle grandi città. No! Niente di tutto questo. Lui deve aver pensato che un architetto bravo dovesse dare fondo a tutta la sua fantasia galoppante. Dovesse stupire tutti. Non era convinto che un architetto bravo dovesse risolvere i problemi semplicemente, facendo cose semplici, economiche, fruibili e per niente pericolose. Così, questo bravo architetto deve aver immaginato che il parco fosse una metafora del mare. Ma mica siamo a San Remo. Sentite cosa si è inventato. Una grande tolda protesa nel vuoto, dalla quale si può vedere l’immensità dei “flutti” che si muovono verso valle, con il movimento delle onde sostituito da una serie di lunghi muretti rivestiti di lastre di pietra locale. Le onde raccolte in fondo al parco da una fontana semicircolare, tutta contornata da alte colonne di ferro ossidato erette sul marciapiede a coppie di due. Forse dovevano simboleggiare le colonne d’Ercole: il confine della conoscenza umana. Forse. Sono passati pochi anni dalla costruzione e dalla inaugurazione del parco pubblico e c’è già chi dice (giustamente) che dev’essere rifatto. E come dargli torto! Le “onde” andrebbero rimosse, troppo pericolose per i bambini che corrono; ci vorrebbe un campo di bocce, qualche vialetto e qualche albero in più; la terra andrebbe coperta con molta più erba; e il numero delle panchine almeno raddoppiato. Mi chiedo semplicemente e anche un po’ ingenuamente perché i lavori pubblici in un piccolo paese non siano mai definitivi. Appaiono sempre provvisori, sempre emendabili, sempre migliorabili. all’infinito. (dal mio libro: Storie dal paese dei ciclamini)

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